Memè Perlini. Un fazzoletto nel cielo della rete per salutare un eroe della cultura

di Fernanda Moneta

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Memé Perlini – La Famiglia, Ettore Scola 1987

Spinto dall’indifferenza, muore innanzitutto un uomo.

Teatro del suicidio, ancora una volta, una Roma disattenta ai talenti dell’Arte e della Cultura che hanno scelto di investire su questa metropoli del sud dell’Europa il tempo della propria vita.

Memè Perlini è morto a 69 anni. È stato un artista completo. Attore, pittore, regista, autore, ma anche imprenditore, produttore e mentore di altri artisti, senza confini e senza limiti imposti.

Marchigiano a Roma, era arrivato in città per studiare presso l’Accademia di Belle Arti di via Ripetta, ma poi decise di restare. Erano gli anni 70 e in città si era sviluppata una microrete di spazi alternativi in cui fare Arte e Teatro, soprattutto. Le cantine romane offrivano ospitalità e occasioni. Il Beat 72, il Politecnico, l’Alberico e tanti altri luoghi strappati alla normalizzazione della cultura all’epoca definita borghese, luoghi alternativi e aperti dove in scena si incrociavano arte, politica, allegria e surrealismo. Ma non solo. A quei tempi, che oggi sembrano lontani anni luce, a Roma e solo a Roma (in Italia), passavano avvenimenti spettacolari che hanno fatto la Storia, come ad esempio le performance di Steve Paxton, Thisha Brown, Debora Hay, danzatori che facevano riferimento a Cunningham, a Cage e, attraverso loro, alla madre di tutte le performance: l’esperienza al Black Mountain Collage del 1059. «The meaning of whar we do is determinated by whoever sees it or listens to it», mi disse Cage in un’intervista del 1986 (leggi: Fernanda Moneta, Esigenze simbiotiche, un diario degli anni 80, Seu Pisa), un testo dove ho affrontato il racconto di quegli anni nel nostro Paese, a Roma innanzitutto. Il senso di ciò che si fa sta negli occhi e nelle orecchie dell’altro, dello spettatore. La città era vitale. Sicuramente i marciapiedi erano tenuti con decoro, c’era un solo ristorante cinese e l’ignoranza fredda non aveva preso il sopravvento. Oggi, chi resta è un eroe.

Memè Perlini ci ha lasciati, fisicamente qualche giorno fa. Ma quando Roma ha lasciato lui? Quando Roma ha rinunciato ad essere epicentro di cultura? In che momento esatto le cose sono cambiate al punto che si ignorano, lasciati soli o quasi, capitali umani, fonti di esperienza e saggezza, testimoni di epoche che hanno aperto le porte della cultura alle periferie e su cui la città ha investito per decenni, dai fondi pubblici a quelli privati, dalle polemiche ai plausi?

Era il 1973 quando ha fondato il Teatro La Maschera insieme al pittore e scenografo Antonello Aglioti e al musicista Alain Curran. Poi diede vita all’avventura del teatro La Piramide (un ex supermercato: era ironico, Perlini), in cui mette in scena i suoi spettacoli più noti: La cavalcata sul lago di Costanza di Peter Handke, Gli Uccelli di Aristofane, Il mercante di Venezia di Shakespeare, Risveglio di primavera di Wedekind, Eliogabalo di Artaud.

Nel cinema arriva come attore per grandi registi: Le castagne sono buone di Pietro Germi, Giù la testa di Sergio Leone, La famiglia di Ettore Scola, Notte italiana di Carlo Mazzacurati, La Lingua del santo e Voltati Eugenio di Luigi Comencini. Ma questa è un’altra storia.


Pubblicato su: Art a part of cult(ure)
ISSN: 281-4760
Data: 10 aprile 2017

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